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ref:topbtw-777.html/ Mercoledi' 22 Marzo 2017/C



Bullismo all'italiana ed impunità minorile

Roma

Le Leggi civili e penali relative al bullismo ed alla delinquenza "infantile" esistono, anche se non esiste un testo specifico omni-comprensivo.

In ogni caso poco applicato.
In USA il bulletto è considerato comunque un criminale e viene messo in galera senza tante storie per qualche mese.

Anche se ha MENO DI 14 ANNI in quanto lo si considera, comunque, in grado di intendere e di volere..

Di solito una prima vacanzina in galera serve per un ripensamento sia dei suoi modi di fare sia dei genitori ai quali, in caso di gravità del reato, puo' essere tolta la potestà..

In Italia: manco per niente..

Ed infatti i mini-minorenni trasportano droga, entrano per primi nei giardini delle villette o negli appartamenti per poi far strada ai complici anziani, oppure si specializzano in scippi a bordo di motorini, aggressioni di gruppo per rubare un telefono cellulare, un cappotto firmato, il nuovo computerino.

In realtà andrebbero trattati con grande severità, e, magari, applicare ai genitori ( od agli istigatori ed istruttori ) le pene previste per il reato commesso dal ragazzino..

Insomma una pena "transitiva" basata sul concetto, ormai spesso adottato in altri casi, che:
"tanto non poteva non sapere".

Una responsabilità dei maggiorenni, spesso pregiudicati, facilmente applicabile con quelle "elastiche motivazioni" ormai di moda nelle aule dei Tribunali italiani.
Del tipo "contiguità del reato" oppure "ipotesi di reato" oppure con la pur sembre affascinante: "lui non poteva non sapere" che fa entrare le doti divinatorie - piuttosto che le cartomanti - nelle aule di Giustizia.

Una impunità che potrebbe essere la causa del massiccio arrivo di clandestini "minori non accompagnati" ( che poi difficilmente non sono accompagnati ) per alimentare le file della criminalità organizzata.
Oltre a tutto con grande difficoltà per stabilire l'età dei soggetti in quanto, sempre, privi di documenti validi.

Ma ecco, in sintesi, la situazione in Italia.

Le presenti note legali sono estrapolate dalle molteplici considerazioni giuridiche presenti sul Web.
La sintesi é esaustiva e, per chi ha pazienza ed una discreta volontà di una istruzione giuridica, certamente da leggere..

B) Violazioni della legge penale (illecito penale)
I reati che possono configurare il reato di bullismo sono molteplici, a seconda di come si esprime il comportamento.

Ad esempio:
Percosse (art. 581 del codice penale, abbreviato c.p.),
Lesioni (art. 582 del c.p.),
Danneggiamento alle cose (art. 635 del c.p.),

Ingiuria (art. 594 del c.p.) o Diffamazione (art. 595 del c.p.),

Molestia o Disturbo alle persone (art. 660 del c.p.),
Minaccia (art. 612 c.p.),
Atti persecutori - Stalking (art. 612 bis del c.p.) e Sostituzione di persona (art. 494 del c.p.), quando una persona si spaccia per un'altra

Come tutelarsi?

Per attivare i rimedi previsti dalla legge penale (ad es. per lesioni gravi, minaccia grave, molestie) è sufficiente sporgere denuncia ad un organo di polizia o all'autorità giudiziaria (questura, carabinieri ecc.).

In altri casi la denuncia deve contenere anche la richiesta di procedere penalmente contro l'autore del reato (querela).

Il processo penale può concludersi con:
- la condanna alla reclusione del colpevole, o al pagamento di una pena pecuniaria o altre sanzioni;
- in casi rari si ordina al colpevole di compiere determinate attività socialmente utili.

Ma Come è applica la Legge?
Ecco cosa dicono i tribunali

Gli atti di molestia reiterati, idonei a configurare il delitto di stalking, possono concretizzarsi non solamente in telefonate, invio di sms, email e messaggi tramite internet ma anche nell'ufficio dove la persona offesa presta il suo lavoro oppure, come nel caso specifico della sentenza in esame, possono consistere anche nella trasmissione da parte dell'indagato, tramite facebook, di un filmato che ritrae un rapporto intimo tra un uomo e donna (tale fatto aveva creato un tale disagio e ansia alla donna che era stata costretta a dimettersi).

Corte di Cassazione, Sezione penale VI n. 32404/2010

Integra il reato di sostituzione di persona (art. 494 del c.p.) che comprende, pertanto, anche la condotta di colui che crea o utilizza un account di posta elettronica, attribuendosi delle false generalità con il fine di arrecare danno al soggetto le cui generalità siano state abusivamente spese.
Corte di Cassazione,
Sezione III, sentenza del 13 aprile 2012 nr. 12479

Sono atti persecutori riconducibili allo stalking vigilante (controllo sulla vita quotidiana della vittima) e allo stalking comunicativo (attuato attraverso l'invio di lettere, email o via sms) e al cd. cyberstalking, i comportamenti che includono l'uso di tecniche di intrusione molesta nella vita della vittima rese possibili dalle moderne tecnologie e, segnatamente, dai social network.

In particolare, il giudice ha osservato che le reiterate condotte di appostamento, le telefonate e le minacce poste in essere dai due colpevoli avevano stravolto la vita di due ragazze sedicenni con persecuzioni infamanti nel loro contesto scolastico, familiare e di amici, creando un forte stato di ansia e preoccupazione.
Tribunale di Rimini Imerese, 9 febbraio del 2012 (citato nella sentenza della Cassazione n. 12479/2012, v. sopra).

Il bullo minorenne e' imputabile?

Va distinto il MINORE DI 14 ANNI da quello tra i 14 ANNI ed i 18 ANNI.
Il minore di 14 anni non è mai imputabile penalmente.
( In USA ora SI' )

Se viene però riconosciuto come "socialmente pericoloso" possono essere previste misure di sicurezza come la libertà vigilata oppure il ricovero in riformatorio.

Il minore tra i 14 e i 18 anni di età è imputabile se viene dimostrata la sua capacità di intendere e volere.

La competenza a determinare la capacità del minore è del giudice che si avvale di consulenti professionali.

In particolare:
responsabilità penale degli insegnanti nel reato di bullismo compiuto a scuola.

L'insegnante (di una Scuola statale o paritaria), nello svolgimento della sua attività professionale, è equiparato al pubblico ufficiale, previsto dall'art. 357 del codice penale.

L'insegnante può essere punito con un multa da 30 a 516 euro, " quando omette o ritarda di denunciare all'Autorità Giudiziaria o ad un'altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferirne, un reato di cui ha avuto notizia nell'esercizio o a causa delle sue funzioni " (art. 361 del c.p.).

Tale responsabilità trova fondamento anche nell'articolo 29 della Costituzione italiana (vedi anche il paragrafo "Culpa in vigilando della Scuola").

C) Violazione della norme di diritto privato (illecito civile)
Il riferimento giuridico per l'illecito civile è l'art. 2043 c.c.:

"Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno".

Per chiedere il risarcimento del danno la vittima del fatto deve rivolgersi ad un avvocato ed intraprendere una causa davanti al Tribunale civile, salvo che venga raggiunto prima del processo un accordo tra le parti.

La vittima del bullismo subisce un danno ingiusto (anche se non volontario) alla propria persona e/o alle proprie cose e pertanto tale danno è risarcibile.
Quale danno è riconosciuto dalla legge e può essere risarcito?

1. DANNO MORALE
(patire sofferenze fisiche o morali, turbamento dello stato d'animo della vittima, lacrime, dolori, patemi d'animo);

2. DANNO BIOLOGICO
(danno riguardante la salute e l'integrità fisica e psichica della persona tutelati dalla Costituzione Italiana all'art. 32);

3. DANNO ESISTENZIALE
(danno alla persona, alla sua esistenza, alla qualità della vita, alla vita di relazione, alla riservatezza, alla reputazione, all'immagine, all'autodeterminazione sessuale;
la tutela del pieno sviluppo della persona nelle formazioni sociali è riconosciuta dall'art. 2 della Costituzione Italiana).

Il danno esistenziale è dato dal non poter più fare, è doversi comportare diversamente da come si desidera, dovere agire altrimenti, essere costretti a relazionarsi diversamente.

Questo danno viene quantificato dal Giudice in via equitativa (secondo il suo concetto di equità), il che può dar luogo a valutazioni molto diverse.
Quali responsabilità prevede la legge civile? Negli atti di Bullismo vanno distinte le diverse responsabilità ed a tal riguardo si identificano:

a. Culpa del Bullo Minore;
b. Culpa in vigilando dei genitori;
c. Culpa in vigilando (ma anche in educando ed in organizzando della Scuola).
a) Culpa del bullo minore

Trova applicazione l'art. 2046 del c.c. che sancisce in tema di "Imputabilità del fatto dannoso" che:
"Non risponde delle conseguenze del fatto dannoso chi non aveva la capacità d'intendere o di volere al momento in cui lo ha commesso, a meno che lo stato d'incapacità derivi da sua colpa".

Anche il minore pertanto, se ritenuto capace di intendere e volere, può essere ritenuto responsabile degli atti di Bullismo insieme ai genitori ed alla Scuola.

Affinché, pertanto, un soggetto possa essere ritenuto responsabile degli atti di Bullismo deve avere la sola capacità di intendere e volere e non la capacità d'agire che si raggiunge con la maggiore età (e che rileva nei rapporti obbligatori).

b) Culpa in vigilando dei genitori

Il non esercitare una vigilanza adeguata all'età e indirizzata a correggere comportamenti inadeguati (culpa in vigilando) è alla base della responsabilità civile dei genitori per gli atti illeciti commessi dal figlio minorenne che sia capace di intendere e di volere.

Di tali atti non può, infatti, per legge rispondere il minorenne, in quanto non ha autonomia patrimoniale.

Si applica l'articolo 2048 del codice civile, primo comma, che recita:
"Il padre e la madre, o il tutore sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei figli minori non emancipati o delle persone soggette alla tutela che abitano con essi."

A meno che i genitori del minore non dimostrino di non aver potuto impedire il fatto, sono oggettivamente responsabili.

Si tratta, pertanto, di una responsabilità personale, anche se oggettiva.

La giurisprudenza identifica la colpa del genitore non tanto nell'impedire il fatto ma nel comportamento antecedente allo stesso ovvero nella violazione dei doveri concernenti l'esercizio della potestà sancita dall'art. 147;
quindi è il genitore che deve fornire la prova positiva di aver dato al l figlio una buona educazione in conformità alle condizioni sociali, familiari, all'età, al carattere e all'indole del minore (Cassazione Civile 15706/2012; 9556/2009).

Anche laddove i genitori siano separati la responsabilità è di entrambi.

Inoltre, la colpa del genitore non coabitante non esclude la responsabilità del genitore stesso laddove sia dimostrata la carenza di eduzione del genitore e di rapporti non constanti con il discendente.

Così ha deciso il Tribunale di Milano del 16 dicembre del 2009
c) Culpa in vigilando della scuola
L' ART. 28 della Costituzionale Italiana recita che :
"I funzionari ed i dipendenti dello Stato e degli Enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili ed amministrative, degli atti compiuti in violazioni di diritti.

In tali casi la responsabilità si estende allo Stato ed agli altri enti pubblici."

Dal punto di vista civilistico trova, altresì, applicazione quanto previsto all'art. 2048 del codice civile, secondo comma, che stabilisce che:
"i precettori e coloro che insegnano un mestiere o un arte sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza".

Si tratta di una responsabilità aggravata in quanto la presunzione di colpa può essere superata solamente laddove si dimostri di aver adeguatamente vigilato ovvero si dia la prova del caso fortuito.-

Al riguardo si segnala la sentenza 8081/13 del Tribunale di Milano (Sezione Decima Civile), che si colloca nella linea interpretativa della giurisprudenza italiana, la quale sancisce la responsabilità del Ministero della Pubblica Istruzione, per culpa in vigilando, a causa delle lesioni patite nella scuola da un minore.

La sentenza in questione evidenzia come non sia affatto sufficiente per gli operatori della scuola:
"vigilare sul comportamento"
dei ragazzi al fine di scongiurare episodi di violenza, perché il particolare rapporto che si crea con l'affidare alla scuola un minore concretizza l'evento regolato dall'art. 2048 c.c. (secondo comma) in forza del quale
"i precettori e coloro che insegnano un mestiere od una arte sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi ed apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza".

Per superare la presunzione, la scuola dovrebbe dimostrare di adottare:
"misure preventive"
atte a scongiurare situazione antigiuridiche come evidenziato dalla giurisprudenza costante della Cassazione (vedi Cass. Sez.III n. 2657/03 che sancisce come:
"non sia sufficiente la sola dimostrazione di non essere stati in grado di spiegare un intervento correttivo o repressivo, ma è necessario anche dimostrare di aver adottato, in via preventiva tutte le misure disciplinari od organizzative idonee ad evitare il sorgere di situazioni pericolose."

Culpa in organizzando della scuola.
La vigilanza deve essere assicurata all'interno della Scuola e dunque anche fuori dalla classe.

Spetta alla direzione dell'istituto scolastico fare in modo che gli studenti siano adeguatamente seguiti per tutto il tempo in cui si trovano all'interno dell'istituto stesso.

L'organizzazione Scuola che non prevenga atti di bullismo, prevedendo ad esempio uffici ad hoc, consultorio ecc. può ritenersi anche colpevole di culpa in organizzando.

A tal riguardo è necessario distinguere la responsabilità della Scuola privata dalla Scuola pubblica.

Alla Scuola privata si applica l'art. 2049 del c.c. che sancisce la responsabilità indiretta dell'istituto scolastico con cui l'insegnate ha un rapporto di lavoro al momento del compimento dell'illecito del minore;
viceversa, la Scuola Pubblica ha una responsabilità diretta nei confronti del Ministero della Pubblica Istruzione che può agire in rivalsa sull'insegnate per culpa in vigilando in caso di dolo o colpa grave (art. 61 della legge n. 312/1980).

La Direttiva Ministeriale Fioroni del 2007 n. 16 ha stabilito che il tema del Bullismo va affrontato dalle Scuole con sistematicità, coinvolgendo, in modo attivo, gli studenti e favorendo la condivisione delle regole e la conoscenza delle sanzioni.

I principi ispiratori sono espressi nella normativa diretta a delineare iniziative ed interventi preventivi con lo scopo di contrastare il fenomeno nelle sue molteplici manifestazioni.

La Direttiva prevede l'attivazione di un numero verde 800 669 696 operativo dalle 10 alle 13 e dalle 14 alle 19 dal lunedì al venerdì, per segnalare casi, chiedere informazioni sul fenomeno e su come comportarsi in situazioni critiche, l'elaborazione e diffusione del Codice di regolamentazione dei mezzi di comunicazione e delle rete informatiche, l a costituzione presso ciascun Ufficio scolastico regionale, di osservatori regionali permanenti sul fenomeno del Bullismo che saranno centro polifunzionale al servizio delle istituzioni che operano, anche in rete, sul territorio per segnalare casi, chiedere informazioni sul fenomeno e su come comportarsi in situazioni critiche.

Il decreto del Presidente della Repubblica n. 249/1998 all'art. 4 prevede, inoltre, che le scuole adottino un proprio regolamento disciplinare con il quale si affrontino le questioni legate al bullismo prevedendo procedure sanzionatorie.

In particolare il comma 7 prevede in linea generale che :
"l'allontanamento dello studente dalla comunità scolastica può essere disposto solo in caso di gravi o reiterate infrazioni disciplinari, per periodi non superiori a quindici giorni".

Tale limite, in base al comma 9, può essere derogato solo qualora ricorrano due ipotesi di particolare gravità ovvero:
quando siano stati commessi reati o quando vi sia pericolo per l'incolumità delle persone;
in tali casi la durata dell'allontanamento:
"è commisurata alla gravità del reato ovvero al permanere della situazione di pericolo".

2014- Le NOVITA':

E' stata approvata dal Ministero dello Sviluppo Economico, l'8 gennaio 2014, la prima bozza del Codice di Autoregolamentazione per la prevenzione e il contrasto del fenomeno del Cyberbullismo;
i intervento ritenuto necessario anche a seguito dei gravi fatti di cronaca che hanno visto alcuni giovanissimi arrivare a gesti estremi dopo essere stati oggetto di insulti e diffamazioni su Internet.

Al tavolo, presieduto dal Vice Ministro dello Sviluppo economico Antonio Catricalà, partecipano rappresentanti delle Istituzioni (Mise, Agcom, Polizia postale e delle comunicazioni, Direzione Centrale della Polizia Criminale, Autorità per la privacy, Garante per l'infanzia e Comitato media e minori), delle Associazioni (Confindustria digitale, Assoprovider ecc.) e degli operatori (Google, Microsoft ecc.).

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Ricordiamo :

Possono bambini, minori degli anni quattordici, essere iscritti nel registro degli indagati, ed, indi, risultare destinatari di un'informazione di garanzia?

La questione ha suscitato notevole stupore, quando su alcuni organi di stampa, è apparsa la notizia che la Procura press o un Tribunale per i Minorenni, aveva sottoposto ad indagine, due bambini di sette anni, con l'accusa di incendio colposo.

Sia chiaro che in questa sede non interessa affatto esaminare l'aspetto sensazionalistico o giornalistico della vicenda, quanto piuttosto importa porsi il problema squisitamente giuridico (anche se riverberante effetti indubbiamente sia di metodo, che di merito), onde valutare la correttezza formale e sostanziale dell'iter processuale adottato, nonché ponderare l'opportunità giuridica del compimento di taluni atti.

Con ordine.

L'art. 26 del DPR 22 Settembre 1988 n. 448, impone al giudice l'obbligo dell'immediata declaratoria della non imputabilità, laddove l'autore del reato sia infraquattordicenne, attraverso l'emissione di una sentenza.

La questione ha, dall'entrata in vigore della riforma codicistica, formato oggetto di indirizzi giurisprudenziali contrastanti posto che un orientamento ha sostenuto che il giudice deve procedere alla pronunzia di una sentenza1, mentre, opposta corrente di pensiero ha propugnato la tesi che, invece, il G.I.P. debba azionare lo strumento dell'archiviazione, cioè del decreto.

2 - Il contrasto è stato sanato dalla Suprema Corte, la quale ha precisato come la norma di cui all'art. 26 d.P.R. 22 settembre 1988 n. 448, che impone l'immediato proscioglimento del minore infraquattordicenne, debba essere considerata di natura speciale.

Per tale motivo, essa prevarrebbe sull'art. 129 c.p.p. e troverebbe applicazione già in fase procedimentale a cura del G.I.P. che deve, così, pronunciare anche di iniziativa, con sentenza.

Si tratta, a parere del Collegio di legittimità, di pronuncia anticipatoria di quella omologa prevista per l'udienza preliminare (art. 32 d.P.R. n. 448 del 1988 e 425 c.p.p.), che non rientra nei casi di archiviazione e che non pregiudica il contraddittorio.

3 - La tesi della Corte di Cassazione appare in linea con un interpretazione rigorosamente ermeneutica della norma in questione;
l'art. 26, infatti, espressamente prevede come strumento dichiarativo del giudice la sentenza di non luogo a procedere.

E' evidente, quindi, che, ragioni di opportunità ed urgenza inducono a ritenere pacificamente derogato il principio per il quale la sentenza di n.l.p. dovrebbe essere conseguenza naturale ed ovvia dell'udienza preliminare e del contraddittorio instaurato in tale momento processuale di chiusura delel indagini preliminari.

E' parimenti evidente, che l'affermazione della S.C., in relazione alla circostanza che esisterebbe una prevalenza dell'art. 26 DPR 448/88 rispetto all'art. 129 c.p.p., venendosi a sostenere così un carattere di lex specialis per la prima disposizione di legge a scapito della seconda, è condivisibile solo in parte e lo è solo tenendo conto della ratio di assoluta eccezionalità della norma minorile.

Infatti, l'unica reale distinzione che intercorre tra le due previsioni che si valutano consiste nel fatto che l'art. 129 c.p.p esclude una decisione.

4 - Tale potere, invece, appare ad appannaggio del giudice minorile, in deroga al principio di tassatività della celebrazione dell'udienza preliminare, come momento processualmente propedeutico alla pronunzia.

In concreto, il minore degli anni 14 non assumerà mai, ai sensi dell'art. 60/1° c.p.p., la qualità dell'imputato, proprio perché non sarà affatto necessario o possibile (oltre che opportuno) che nei di lui confronti venga iniziata l'azione penale nelle forme descritte dalla citata norma.

Per giungere, però, alla definizione del giudizio, ancorché immediata, ci si deve chiedere se la pubblica accusa debba, almeno, procedere all'iscrizione del minore indagato (o dei minori indagati) sul registro tenuto ex art. 335 c.p.p., e se il P.M. debba avvertire l'interessato ed i suoi genitori del fatto che si procede penalmente nei suoi confronti.

A parere di chi scrive appare incontrovertibilmente atto dovuto quello dell'iscrizione del minore nel registro degli indagati, anche se l'inquisito sia minore degli anni 14.

Sicchè la scelta del P.M. in tale senso appare conforme allo spirito della norma, la quale potrà essere discutibile, modificabile, ma non tollera o permette, nella fattispecie, spazio ad interpretazioni differenti da quella esposta.

Allo stesso modo, quindi, non appare allo scrivente affatto necessario, per l'eventuale prosieguo del procedimento, l'invio da parte del P.M., al minore inquisito ed agli esercenti la potestà genitoriale, dell'informazione di garanzia di cui all'art. 369 c.p.p..

Con riguardo al primo aspetto, e cioè quello dell'iscrizione del minore degli anni 14, ritengo che nessuna norma procedurale osti o vieti tale adempimento.

Anzi, reputo che, in assenza dello stesso - pur essendo noti gli autori del fatto - non si possa addivenire alla definizione del giudizio.

In buona sostanza, sono persuaso del fatto che, prioritariamente ad ogni altra osservazione, non si possa prosciogliere una persona, ancorché non imputabile per scelta geneticamente ex lege, ove la stessa non abbia assunto quanto meno la veste di indagato, ai sensi del'art. 61 c.p.p. .

E', infatti, evidente che la condizione originaria ed assoluta di non imputabilità dell'autore del fatto, stabilita dal co. 1° dell'art 98 c.p.5, siccome frutto di una presunzione iuris et iure, non postula o richiede alcun tipo di verifica peritale.

Essa potrebbe, invece, avvenire laddove si dovesse constatare e decidere se la persona (maggiorenne o minore dei 18 anni, ma maggiore dei 14 anni) sia capace d'intendere e volere, perché affetta da qualche patologia endogena e, se, in caso di affermazione di penale responsabilità l'inquisito debba essere sottoposto ad un trattamento sanzionatorio o prosciolto con applicazione di misura di sicurezza.

In tale occasione, infatti, l'autorità procedente deve obbligatoriamente giungere a formulare una prognosi, sulla base di consulenza tecniche e specialistiche, in ordine alla sussistenza della capacità di intendere e volere del soggetto, in relazione al momento di commissione della condotta integrante il reato, per, indi, addivenire al giudizio sopra richiamato.

Nel caso in disamina, invece, una volta operata la sola verifica anagrafica ed appresa la data di nascita dei minori indagati in relazione al fatto contestato, verificata la sussistenza di prova che confermi l'attribuzione certa e diretta dell'illecito a costoro, nessun accertamento ulteriore può essere richiesto o svolto sul piano soggettivo, venendosi a verificare un pieno automatismo, che esclude la colpevolezza determinando irresponsabilità penale, quale conseguenza della non imputabilità.

In pari tempo la fase procedimentale viene automaticamente ad affrontare un ostacolo insormontabile, arrestandosi.

Sicchè la scelta formale dell'iscrizione, nel registro tenuto ex art. 335 c.p.p., dei due bambini, per quanto possa sembrare paradossale ed apparentemente in contrasto con l'art. 26 (norma si ricordi di natura materiale), risulta, invece, strictu sensu corretta giuridicamente in quanto:
1. risponde all'esigenza di individuare ed identificare comunque il soggetto od i soggetti cui il fatto viene attribuito;

2. non determina affatto in concreto la sottoposizione dell'indagato ad una vera e propria indagine preliminare, intesa come fase prodromica di raccolta delle prove da utilizzare in giudizio;

3. costituisce una condizione di procedibilità assolutamente necessaria per addivenire alla sentenza di proscioglimento ex art. 26 Dpr 448/1998, che, diversamente, non potrebbe essere pronunziata dal giudice.
In assenza dell'esatta individuazione della persona cui viene attribuita la commissione materiale del fatto, infatti, l'unica possibilità sarebbe l'archiviazione con la formula per essere ignoti gli autori;
si tratta, però, di un'ipotesi completamente diversa da quella in oggetto.

Perplessità, invece, solleva la scelta di inviare un'informazione di garanzia ai due piccoli discoli.

Questa osservazione non si pone affatto in contrasto con quanto sin qui affermato.
A parere di chi scrive, infatti, l'avviso di pendenza del procedimento, in un caso quale quello in esame e, comunque, in presenza di un conditio de jure che impedisca assolutamente la progressione logica del procedimento, non aveva alcuna pratica necessità di essere inviato agli ipotetici interessati.

La ratio che, infatti, sovrintende e giustifica l'utilizzo dello strumento previsto dalla disposizione dell'art. 369/1° c.p.p. consiste nel fatto che debba essere compiuto un atto al quale il difensore ha diritto di assistere.

Il codice afferma che solo nella situazione dianzi descritta, l'invio deve avvenire.

Ci si deve, però, chiedere se nel caso in esame l'esigenza investigativa, in relazione al reato ipotizzato, potesse prevalere su ogni altra valutazione di fatto e diritto, e, soprattutto, sull'art. 26 più volte citato. La soluzione al quesito deve essere negativa.

Se, infatti, fosse stata intenzione del P.M. di procedere ad attività investigative, o se le stesse avessero costituito atto necessario o, comunque, indefettibile il rappresentante della pubblica accusa, nella consapevolezza che, comunque, l'indagine non avrebbe mai potuto sfociare nella fase processuale vera e propria del giudizio - attesa la nota preclusione della non imputabilità -, si sarebbe trovato preclusa ogni possibilità di verifica in contraddittorio.

Al massimo avrebbe potuto procedere utilizzando lo strumento dell'art. 359 c.p.p., pur dovendosi tenere conto del fatto che lo stesso non riguarda i cd. accertamenti tecnici non ripetibili, che sono previsti, invece, dall'art. 360 c.p.p. e presuppongono necessariamente che le parti debbano essere avvertite.

Pare, quindi, di poter tranquillamente affermare come la previsione della legge minorile appaia norma di assoluto ed invalicabile sbarramento, risultando inconciliabile con qualsiasi tipo di investigazione, precludendo, ovviamente, la partecipazione del minore al procedimento.

Vi è, però, da domandarsi come possa conciliarsi siffatta preclusione con la necessità, che spesso insorge, di dare rapido ed immediato corso a verifiche su cose suscettibili di modifica e che quindi devono essere svolte nel contraddittorio seppur imperfetto.

Si pensi, ad esempio, all'ipotesi che un minore degli anni 14 anni sia accusato di avere commesso un grave reato, ad esempio un omicidio e si ritenga di dover ricorrere ad un'autopsia sulla vittima, per accertare le cause e le modalità del decesso.

A parere di chi scrive la soluzione appare obbligata e consiste nel recupero, ancorchè in maniera estremamente limitata, dello strumento previsto dall'art. 359 c.p.p. .

A tale soluzione si deve giungere necessariamente, non essendovi altre strade procedurali giuridicamente praticabili, posto che si devono contemperare due esigenze opposte ed apparentemente inconciliabili.

Da un lato, va, infatti, rilevata l'impossibilità di incardinare un contraddittorio valido, che abbia come parte anche il minore.

Ciò esclude, così, il ricorso all'art. 360 c.p.p. citato, che presuppone a pena di nullità la partecipazione di tutte le parti del processo.

Dall'altro, però, è inaccettabile ed inammissibile che non si possa dare corso ad accertamenti, che, per quanto non strettamente utilizzabili in sede di giudizio processualpenalistica, appaiono, comunque, atti dovuti d'indagine, tesi a chiarire le modalità di commissione di un illecito di natura penale, commesso da soggetto in suscettibile di punizione, solo in virtù di una scelta formale e codicistica.

In quest'ultimo ambito, quindi, l'attività d'indagine dovrà a fortiori risultare circoscritta e limitata, in quanto essa non potrà mai coinvolgere direttamente il minore, quale protagonista dell'atto investigativo.

Sicchè, non sarà mai possibile ad esempio sottoporlo al cd. "tampone a freddo" finalizzato al prelievo di eventuali residui indicativi dell'uso di armi da fuoco, né al prelievo di impronte, onde ricercare prove della sua responsabilità.

L'utilizzo della previsione di cui all'art. 359 c.p.p., pertanto, a parere di chi scrive, permette di recuperare attività investigative svolte o da svolgere, comunque, nell'immediatezza del fatto, salvaguardandone l'esistenza, quanto meno sul piano naturalistico e fornendo loro un pregio ed una valenza anche sul piano del diritto.

E' innegabile, infatti, che taluni accertamenti (irripetibili geneticamente o per ragioni sopravvenute) possono avere un valore, laddove l'illecito penale possa avere connotazioni e riflessi di collaterale e conseguente responsabilità civile.

Nel caso che ci occupa, vertendosi in ambito di incendio colposo, non è francamente pensabile che tutta una serie di attività di acquisizione proprie della p.g., svolte nell'immediatezza dei fatti, (quali il recupero di corpi di reato o di tracce che permettano l'identificazione della natura dell'incendio) non potessero essere svolte, perché l'agente (o gli agenti) sarebbero risultati minori infraquattordicenni.

E', infatti, evidente come l'evento-incendio abbia cagionato un chiaro danno, che ha una sua pregnanza sul piano economico.
Del pari, è evidente, nella fattispecie, l'esistenza di una parte offesa, che avrà comunque titolo per un'eventuale azione civile nei confronti degli esercenti la potestà genitoriale, a fini risarcitori e che si dovrà e potrà basare probatoriamente anche sulle risultanze d'indagine penale.

Deriva, pertanto, l'ovvia considerazione che, al di là del fervore garantistico, che può sottendere alla scelta operata dal P.M., nella vicenda in questione, l'avviso di garanzia, inviato ai due piccoli indagati, non rispondeva, né poteva rispondere ad alcuna concreta necessità procedimentale.


1 - Nel corso delle indagini preliminari il G.I.P. minorile è competente ad emettere sentenza di non luogo a procedere per difetto di imputabilità del soggetto nei confronti del quale si procede.

Trib. Minorenni Campobasso, 19/05/1992, L.M. e altri, Giur. di Merito, 1994, 497, nota di MANERA, Arch. Nuova Proc. Pen., 1992, 556, nota di MERCONE

2 - Proc. Rep. Trib. minorenni L'Aquila, 23/01/1993, Morelli e altri, Giur. di Merito, 1994, 497, nota di MANERA. Qualora nel corso delle indagini preliminari risulti che l'indagato è minore degli anni quattordici, e quindi non imputabile ex art. 97 c.p., il g.i.p. minorile deve disporre l'archiviazione degli atti per l'impossibilità di una valida costituzione del rapporto processuale, e non pronunciare sentenza di non luogo a procedere, data l'inapplicabilità, in tal caso, dell'art. 26 delle nuove disposizioni sul processo minorile, non potendo l'infraquattordicenne assumere formalmente la qualità di imputato.

3 - Cass. pen., Sez.V, 07/04/1997, n.1604,X, Dir. Pen. e Processo, 1998, 475, nota di SCEUSA

4 - L'art. 129 c.p.p., nel prevedere l'obbligo della declaratoria di non punibilità, nei casi in esso contemplati, in ogni stato e grado del processo, nulla dispone in ordine al rito da seguire per la pronuncia di detta declaratoria; ragion per cui tale rito non può che essere quello della fase in cui il processo si trova.
E' pertanto da ritenere illegittimo il provvedimento con il quale il giudice per le indagini preliminari, investito della richiesta di rinvio a giudizio, emetta:
"de plano"
sentenza di non luogo a procedere per ritenuta evidenza di una causa di improcedibilità dell'azione penale, potendo una tale pronuncia conseguire soltanto all'esito della celebrazione dell'udienza preliminare.
Cass. pen., sez. I, 22/04/1998, n.2277, Motika e altri, Giust. Pen., 1999, III, 511, Cass. Pen., 1999, 3543


"DE PLANO" - Nota tecnica - Formula forense

Nel linguaggio giudiziario, il provvedimento giurisdizionale "de plano" è quello adottato dal giudice in assenza di istruttoria, trattandosi di decisione che già "ictu oculi" può essere presa senza specifici approfondimenti e indagini sulla questione di fatto prospettata, cioè "sic et simpliciter."

Ciò non di meno, il giudice può emettere un'ordinanza senza ascoltare la controparte, cioè inaudita altera parte, solo ed esclusivamente nei casi previsti dalla legge, e non certo solo perché la questione appaia risolvibile de plano.


( Giorgio Comerio )

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