Dopo l'accordo sul nucleare firmato a Vienna nel luglio del 2015, l'allora ministro dell'Economia tedesco Sigmar Gabriel (Spd)
si era recato a Teheran con una delegazione di imprenditori dell'industria tedesca.
Ogni governo europeo, a cominciare da quelli francese e italiano, erano pronti sui blocchi di partenza per stringere accordi
economici con il presidente iraniano Hassan Rouhani.
L'Italia ha firmato contratti con l'Iran per 17 miliardi di euro;
Airbus ha invece concluso un accordo per la fornitura di 118 aerei.
La cooperazione economica, pero' - scrive la ''Frakfurter Allgemeine Zeitung'' - e' frenata dall'approssimarsi delle
prossime elezioni presidenziali in Iran.
Si profila inoltre un altro fattore di insicurezza, rappresentato dalla politica della nuova amministrazione del
presidente Usa Donald Trump.
Ma soprattutto ci sono le banche europee e americane che guardano agli investimenti in Iran come un rischio.
A tutto cio' si unisca il fatto che l'Iran e' stato a lungo e continua ad essere un Paese chiuso in se stesso, dominato da una
dispotica teocrazia e le resistenze interne sono notevoli.
Nella sua ultima missione in Iran, Siegfried Russwurm, del Consiglio tecnologico di Siemens, ha chiuso solo un contratto
per la costruzione di 50 locomotive diesel-elettriche per la ferrovia iraniana; eppure, sottolinea il quotidiano tedesco,
Siemens ha molti prodotti in portafoglio, che potrebbe commercializzare in Iran, come centrali e treni veloci.
Ma la Siemens non si fida.