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ref:topbtw-3699.html - 29 Luglio 2023



Busto Arsizio.


Giuseppe Fazio... Senza più parole.


Una sentenza da dimenticare


La “giustizia” italiana (rigorosamente in minuscolo) ha un grosso problema, grande come il deserto umano e culturale di certi (troppi!) giudici, che con ogni evidenza hanno smarrito, insieme al principio di realtà, anche ogni più basilare forma di proiezione empatica, nell’indecenza semantica di chi, a quanto pare, sembra ritenersi il custode di una non meglio precisata “morale” pubblica, nelle distorsioni cognitive che ne sottendono la personalissima interpretazione, per una drammatica assenza di qualunque sensibilità.

In tale prospettiva, la sentenza depositata dalla Corte d’Assise di Busto Arsizio, in merito all’omicidio di Carol Maltesi, ne costituisce un esempio emblematico, per un condensato ributtante di stereotipi di genere e pregiudizi, che tradiscono innanzitutto un vulnus culturale di rara grettezza.

Oltre lo schermo impersonale delle formule giuridiche di rito e dei formalismi pandettistici, la motivazioni della sentenza indignano ed offendono, costituendo un ulteriore sfregio post mortem della vittima, con imbarazzanti (e non richieste) valutazioni circa la condotta della stessa, su giudizio a posteriori che nulla attiene alla gravità del reato.

E un magistrato che si cimenti in psicologismi d’accatto, più degne di un rotocalco che di una corte penale, viene meno alla sua credibilità.

Ma soprattutto preoccupa, quando ha la presunzione di farsi interprete di un distorto “senso comune”, che ha la consistenza di uno sputo alla memoria; quasi si volesse apporre il sigillo di un simbolico marchio di infamia.

In questi casi, il sentimento prevalente è semplicemente lo SCHIFO!

Carol Maltesi, era una ragazza di 26 anni, ammazzata dal suo “innamorato”, Davide Fontana, con tredici martellate che le hanno sfondato il cranio e sfigurato il viso, per essere poi accoltellata fino a quasi staccarle ciò che restava della testa.

Come estremo gesto d’amore, il corpo è stato quindi tagliato dal moroso in 18 pezzi:
prima conservati in un frigorifero, poi ripassati sul barbecue, ed infine buttati in una scarpata, dopo una metodica opera di macellazione e distruzione.

Ma nell’emettere la sentenza di condanna, e nel riconoscere le attenuanti generiche al suo massacratore, a maggior ragione che l’imputato “ha fatto oggettivamente risparmiare tempi ed energie al processo” (!), il Tribunale di Busto Arsizio non ravvisa abiezione, né crudeltà, e meno che mai i futili motivi, alla base dello scempio, perché:
“Fontana non infierì sul corpo della donna, più di quanto non fosse funzionale alla sua uccisione.”

Che è valutazione che potrebbe benissimo applicarsi anche a Jack lo Squartatore, visto che eviscerava le sue vittime da morte, solo dopo averle sgozzate.

Di conseguenza,
«il delitto non può essere considerato abietto o futile in senso tecnico-giuridico»

Né la Corte ravvisa la premeditazione, reputando l’omicidio un “delitto d’impeto”.

E infatti:
«l’omicidio era un modo per venire fuori da questa condizione di incertezza e sofferenza non più sopportabile, innescata dalla decisione della stimolante donna amata di allontanarsi da lui.»

Con spericolata interpretazione motivazionale (giuro che l’ho riletta più volte tanto non ci credevo), ne consegue quindi che:
«La causa scatenante non è da ritenersi turpe o spregevole più di ogni altro motivo che induca a un delitto cruento, poiché non è stata espressione di un moto interiore del tutto ingiustificato o un mero pretesto per lo sfogo di un impulso criminale.»

Per la serie:
se mi lasci, ti ammazzo.

Meglio ancora, ti macello come bestiame al mattatoio.

A maggior ragione, dinanzi all’abnormità dello scempio non si ravvisa alcuna crudeltà, trattandosi solo di una mera impressione scaturita da un’errata interpretazione dell’atto;
perché proprio lì, nell’impressione distorta, risiede la vera gravità che a noi non riesce di capire.

Tant’è che:
«Non si può fare il grave errore di desumere la crudeltà nel realizzare l’omicidio dalla raccapricciante, orripilante condotta successiva e in particolare dall’agghiacciante gestione del cadavere e dello spaventoso scempio fattone, che tanto orrore ha suscitato nell’opinione pubblica.»

E chissà mai perché, ‘sta ottusa “opinione pubblica” ne è rimasta tanto impressionata!

Ammazzare una ragazza a martellate, è una passaggiata di salute.

Tutto il resto, sono solo dettagli ‘tecnici’ per addetti ai lavori.

Semmai, ci si dovrebbe soffermare sulle profonde motivazioni e ponderate valutazioni che hanno armato la mano del carnefice, insieme al suo dramma interiore di innamorato respinto e deluso, poiché:
«L’idea di perdere i contatti stabili con colei che egli, per sua stessa ammissione e secondo l’amica testimone, amava perdutamente, da cui sostanzialmente dipendeva poiché gli aveva permesso di vincere la sostanziale solitudine in cui si consumava in precedenza e di vivere in modo finalmente diverso e gratificante, si è rivelata insopportabile.»

Pertanto, l’omicidio sembrerebbe quasi essere stata la conseguente (e verrebbe da dire ‘naturale’!) condizione per matabolizzare il respingimento:
«L’omicidio era un modo per venire fuori da questa condizione di incertezza e sofferenza non più sopportabile, innescata dalla decisione della stimolante donna amata di allontanarsi da lui.»

Insomma, si è trattato di un dramma della solitudine, dell’ennesimo maschio incapace di accettare il rifiuto.

Del resto, che altro avrebbe dovuto fare il povero Davide Fontana, macellaio per caso, nel momento in cui…

«Si è reso conto che la giovane e disinibita Carol si era in qualche misura servita di lui per meglio perseguire i propri interessi personali e professionali e che lo avesse usato, e ciò ha scatenato l’azione omicida.

A spingere l’imputato non fu la gelosia ma la consapevolezza di aver perso la donna amata, accompagnata dal senso di crescente frustrazione per essere stato da lei usato e messo da parte.»

Le solite donne di oggi, troppo “disinibite”, “stimolanti” (e, implicitamente, sempre puttane).

Sedotto e Abbondonato, una martellata caccia via lo stress.

Qui non si disquisisce sulla condanna a 30 anni di Davide Fontana, ma sulle motivazioni della sentenza.

Perché le parole sono importanti.

E qualcuno sembra non rendersi minimamente conto del loro senso, nello strampalato (ed allucinante) uso delle stesse, avendo serie difficoltà di espressione e di pensiero.

A chi glielo fa notare, il presidente della Corte d’Assise di Busto Arsizio, l’esimio dottor Giuseppe Fazio, si definisce “allibito”, perché proprio non si capacita delle reazioni, tale è la meraviglia, dinanzi alle sue così sofisticate valutazioni ispirate da cotanta scienza giuridica, convinto com’è di “non aver mancato di rispetto a nessuno” (Carol Maltesi non è lì per reclamare), nella concatenazione di concetti giuridici che hanno un significato diverso rispetto alla Treccani, e che evidentemente i volgari profani non possono intendere, parlando un linguaggio totalmente diverso insieme al significato che ne scaturisce.

E non si capisce quanto la toppa sia di gran lunga peggiore del buco!

( Sendivogius )


L'ITALIA che NON MUORE....


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